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Giorgia Sandoni Bellucci - Official Website | Be loved, be eco.
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Be loved, be eco.

Be loved, be eco.

Nella moda, nell’arredamento, nel cibo: sono tre mesi che tutti i giorni in classe non fanno altro che ripetermi come nella società d’oggi ormai ogni cosa sia orientata a ricercare una dimensione meno dispendiosa e più eticamente corretta della realtà. Stop all’accumulo di vestiti dismessi nell’armadio, alle abbuffate di Crispy McBacon e Coca Cola o ai complementi d’arredo resistenti quanto un paio di collant 20 den.  Arrivati al 2014, dopo quasi trent’anni di globalizzazione, lentamente le persone stanno riscoprendo il fascino della regressione: come il ritorno ad una naturalità primitiva e nostalgica, da cui la martellante corsa postmoderna verso il progresso ci ha allontanati. Ecco allora che gli abiti vecchi  non si buttano più, ma diventano vintage, il fast si trasforma in slow food ed il design usa e getta progetta mobili disegnati per durare e funzionare nel tempo.

 

Insomma dai, contrariamente all’apparenza noi Millennials  non ce la caviamo poi così male: del consumismo selvaggio e scriteriato anni ottanta abbiamo salvato giusto i leggings in microfibra.

 

Abbiamo imparato a guardare oltre il piacere dell’ostentazione, dell’eccesso, dell’immagine: a fare delle nostre attitudini non una moda, ma uno stile.

 

Anche perché  la sostenibilità non riguarda esclusivamente l’orizzonte economico del sistema: se prima di cominciare un master in comunicazione infatti, al termine sostenibile associavo per lo più sinonimi come ecologico o rinnovabile,  adesso invece ho capito che non si tratta soltanto di un aggettivo pensato per identificare i processi di lavorazione di un prodotto, lo spirito di un marchio o una particolare tecnologia: la sostenibilità è un  modus vivendi. Sentiendi. Operandi.

 

È una filosofia di vita che dona a chi la persegue la capacità di distinguersi e di trarre piacevole consapevolezza dalla propria volontà di differenziazione, previa  sensibilità di percezione, senso estetico e propensione all’innamoramento. Vivere sostenibilmente non significa circondarsi  esclusivamente di oggetti comprati al mercatino delle pulci, mangiare insalata e tofu o rinchiudersi dentro le costosissime pareti di edifici “eco spreco”di tendenza. Presuppone al contrario una visione più ampia di fondo che non coinvolge solo gli oggetti, ma il mondo nel suo complesso: essere sostenibili vuol dire apprezzare e rispettare le persone e le cose che fanno parte di noi, imparando a reinventarle piuttosto che a cestinarle, nel momento in cui inizino ad apparire sorpassate ai nostri occhi. Si tratta di uno sforzo impegnativo, coraggioso, tutt’altro che immediato: perché bisogna innamorarsi delle proprie scelte a tal punto, da essere in grado di attribuir loro sempre nuovi significati, a svelarne i risvolti nascosti e reinterpretarli, al fine di riconfermarne gli esiti con ancora più orgoglio di prima.

 

Chi dà valore alla sostenibilità spesso non si invaghisce dell’aspetto letterale, fisico, materiale della realtà, ma del valore culturale di cui sono impregnati i fenomeni: presta attenzione alla loro storia e al loro significato, piuttosto che al fascino esteriore della loro forma. Consapevole che più che di oggetti, la realtà è fatta di simboli. Verità grandi o piccole che assumono importanza in relazione al proprio trascorso personale. In tal senso quindi la superficialità che siamo stati istruiti ad impiegare in qualsiasi minimo frangente della vita quotidiana e che solo alcuni di noi hanno cominciato poco a poco ad abbandonare, inquina  più di tutte le emissioni di Co2 scaricate nell’atmosfera.

 

Altro che effetto serra, piogge acide e buco nell’ozono: le zarre sono il vero disastro ecologico della nostra società.

 

Che si comprano il tayeur di Chanel, solo perché costa duemila e cinquecento euro  e poi lo indossano senza sotto giacca, col push up in bella vista, stile copricostume Fruscio e non gliene frega una mazza, se fanno rivoltare nella tomba Cocò, Ambaraba, Cicì e tutti gli anni e il tweed, spesi in sartoria ed emancipazione su misura.

 

E di quel consistente strato di popolazione ancora affetta da una tanto datata quanto resistiva sindrome boldiana, ne vogliamo parlare? Intendo gli sbocciatori che il sabato sera si fanno spennare peggio dell’anatra all’arancia che hanno nel piatto, convinti che pasteggiare ad ostriche e Möet sarà per sempre un perfetto esempio di bon ton culinario.

 

Vi risparmio infine il grido di disperata costernazione, per tutti gli studenti di design che hanno acquistato uno sgabello Gnomo di Kartell, che manco l’ho mai visto nel giardino di mio nonno ( che di nani ne ha tanti, credetemi), solo perché è stato progettato da Philip Starck. Si comprerebbero anche tutti i sette nani, Biancaneve, Hansel, Gretel e la casetta di pan di zucchero, se solo gli avessero detto che “questo non è uno sgabello, questo serve per cominciare una conversazione”.

 

Sarcasmo a parte, il punto è che quando non si è consapevoli dei propri consumi, quando ci si lascia influenzare dalla moda, dai pregiudizi estetici di massa, dalla seducente facilità dell’approvazione condivisa si finisce poi, per perdere noi stessi da qualche parte. Dentro una carriera che non ci appartiene, una storia sbagliata o un paio di stivali texani kitschissimi. Che a distanza di anni ti dici, ma perché li ho comprati? Mah, appunto.

 

Io non credo che sia importante quanto denaro, tempo, fatica impieghi nel fare le cose (ad ognuno il proprio carattere, i propri interessi ed il suo conto in banca), ma penso sia fondamentale invece valutare quanto il tuo investimento ti ricompensi in termini di soddisfazione. Chi se ne frega se sei ricco, povero, nullafacente, stacanovista, ateo o credente, leale o infedele, tanto se non capisci che cosa vuoi dalla vita e come ottenerlo, finirai comunque più  infelice e degradato di un treno a carbone. Costretto a vivere in un mondo inquinato dalle tue insicurezze, piuttosto che ripulito da ogni esitazione.

 

Sostenibili significa sapere cosa ci appartiene e cosa no. Che cosa ci piace e ci serve davvero. Cosa vogliamo e perché, senza la paura di esprimere i nostri desideri, di perseguirli e di afferrarli, anche quando questo violi il giudizio degli altri, consapevoli che tutto ciò di cui scegliamo di circondarci è per noi carico di una qualche bellezza o virtù inferita, che ci fa sentire a nostro agio, perfettamente armonizzati con noi stessi e col resto dell’universo.

 

In questo senso sostenibilità è anche sinonimo di crescita. Di conquista interiore. Del proprio spazio e del proprio tempo. Dei propri sentimenti e dei propri ideali.

 

Non si nasce sostenibili nei confronti del mondo, lo si diventa, imparando dagli errori e dalla leggerezza con cui li si è commessi. Più gli anni passano e le esperienze si susseguono, più  si apprende come riconoscere e respirare l’essenza degli oggetti, dei fenomeni, della gente e all’improvviso ci si accorge di come non tutte le cose meritino necessariamente la stessa importanza. Che alcuni articoli vanno e vengono fuori e dentro al mercato, senza valere mai il prezzo che costano, mentre ne esistono altri il cui valore rimarrà per sempre inestimabile. Capolavori d’arredo che varrebbe la pena di mettere al centro di una stanza, anche a costo di lasciare il resto della casa vuota; pezzi di stoffa che sono diventati simboli di lotta, recanti nella loro lavorazione l’ingegno creativo dei loro ideatori, il sudore delle mani di chi li ha confezionati e che raccontano la storia di un personaggio, di un paese o di un popolo. Pietanze squisite, che non appagano solamente i sensi, ma che ristorano l’anima e ti rimandano col pensiero ai colori e ai profumi dei prati e dei mari dove sono stati raccolti, lasciandoti in bocca il sapore del talento forbito ed il sentore di un’elegante ricercatezza.

 

Abbracciare un’etica sostenibile significa ammettere che siamo venuti al mondo non solo per sfruttare ciò di cui disponiamo, ma per indagarlo, sollevarlo, celebrarlo. Significa smettere di accumulare fatti, persone, beni in modo compulsivo, per soffermarsi ad esplorare meglio quelli che già possediamo. Passare dalla quantità alla qualità della vita. Dalla moltitudine all’unicità. Consci che dopotutto attraverso innumerevoli vie scorre il nostro sangue, ma poche tra queste sono quelle che lo riportano al cuore.

 

Non mi interessa quello che scegliete di comprare al supermercato o in negozio,  di mangiare al ristorante, di fare nella vita o chi scegliete di avere al vostro fianco, ma mi auguro che scegliate di amare tutte queste cose. Perché l’amore è sempre la scelta più sostenibile che possiate intraprendere: per voi stessi e per gli altri.

 

G.

 

Giorgia Sandoni Bellucci
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