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Giorgia Sandoni Bellucci - Official Website | Il tormento e l’estasi
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Il tormento e l’estasi

Il tormento e l’estasi

«La amo e la odio. Non so perché, ma sento che è così e soffro come un cane!»

Se Catullo fosse vissuto nel XXI secolo d.C, probabilmente avrebbe parlato così della sua amata Lesbia all’amico, dopo essersi sbronzato di tequila. J.Ax invece, l’avrebbe messa ai ferri corti, urlandole in faccia un autaut: “O ti amo o ti ammazzo!”. Perché dalla notte dei tempi non esiste amante, respinto o ricambiato, che non abbia sofferto almeno una volta per amore e al contempo non abbia potuto fare a meno di amare ancora. «Ti odierò, se potrò, altrimenti ti amerò mio malgrado». Già, anche Ovidio aveva capito che tra odio e amore esiste un confine sottile, più o meno come tra il dolore e il piacere. A nessuno di noi piace soffrire; tanto che fin da piccoli ci viene insegnato di soffiare sul cucchiaio della minestra per evitare di scottarci il palato, di non correre in giardino per evitare di sbucciarci le ginocchia o di non tirare la coda al gatto, se non vogliamo trovarci le braccia coperte di graffi. Insomma, già dalla nascita veniamo educati a prevenire il dolore, a raggirarlo, ancor prima di pensare a come curarlo: il dolore è qualcosa di negativo, qualcosa che ci nuoce e che dobbiamo evitare o debellare a ogni costo. Ma se nella vita di tutti i giorni possiamo bere un sorso di acqua fredda per rinfrescarci la bocca in fiamme o mettere un cerotto su qualsiasi ammaccatura, quando si tratta di cuore, le cose sono decisamente diverse. Qual è la ricetta vincente contro il mal d’amore? E soprattutto siamo sicuri che esista un’educazione sentimentale? Un manuale pronto all’uso che ci insegni come non farci male? Possiamo procurarci un vaccino contro il dolore che ci permetta di gioire della vita di coppia, senza dover sopportarne le incomprensioni, i litigi, i silenzi? No. Ma in fondo siamo sicuri che il nostro desiderio sia legittimo? E’ giusto voler cicatrizzare le piaghe del cuore con la pomata, coprirle con una garza sterile e sperare che spariscano improvvisamente, fingendo di non avvertirne il tormento? Forse a volte bisognerebbe avere il coraggio di lasciare le ferite aperte a prendere aria, di mostrarle con fierezza, come segno della nostra umanità e delle nostre emozioni. Perché certi amori sono il morso di un ragno. Ti prudono sulla pelle e tu non puoi che sfregarteli sull’anima forte, fino a bucarla. Certi amori li spolpi con le unghie a tal punto che poi non sanno più rimarginarsi e guarire: ti rimangono addosso per anni, come ferite aperte che sanguinano lungo la tua vita e finiscono col lasciarti cicatrici indelebili. Dobbiamo comprendere come la sofferenza non sia sinonimo di debolezza, ma iperbole di qualsiasi forza e soprattutto condizione necessaria di ogni piacere. Se non avessimo provato la tristezza almeno una volta infatti, non sapremmo nemmeno riconoscere il sapore della vera felicità. Dobbiamo smettere di considerare il dolore come un nemico da combattere, e accettarlo come un duro maestro, che ti uccide di compiti a casa e sta basso coi voti. Uno di quelli che ti fa sudare la sufficienza in condotta, ma che in fondo sa farti apprendere davvero la lezione. Dobbiamo credere che esista davvero una certa voluttà del dolore, un sentimento controverso che inspiegabilmente ci porta a pensare che soltanto navigando nel buio, potremmo infine riconoscere la luce, una volta usciti dal tunnel. Una sensazione irrazionale ma tangibile che ci porta a sopportare ogni fatica in vista del traguardo e che ci fa pregustare il sapore dell’estasi, mentre ancora siamo afflitti dal tormento. Certi dolori dobbiamo averlo più cari di qualsiasi gioia, perché danno sapore alla vita e ci insegnano come gustarla…

Giorgia Sandoni Bellucci
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